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Il condizionamento mentale ed emotivo che gli anìme giapponesi, da Goldrake in poi, fino allo stop terapeutico imposto dall'epico "Ken il guerriero" (oggi in film nelle sale di tutta Italia), hanno imposto tra i Settanta e gli Ottanta. La nipponizzazione dissociativa prima del precariato, del workaholic e del Viagra di massa.
Lo ricordiamo tutti, vero?, il ragionier Fantozzi che si prende 92
minuti netti di applausi dopo avere scatenato l'entusiasmo con la sua
celebre formula? Non ce lo ricordassimo tutti, ecco cosa accadde, dopo
un'overdose di "montaggio analogico" eisensteiniano, mentre l'Italia vince con l'Inghilterra a Wembley,
il proletariato (che non è già più tale) s'incazza, prima che s'incazzi
la polizia, punisce il dirigente che impone cineforum pluriennali su La corazzata Potemkin (ma per tutti è: Kotiomkin), e si dà alla visione mantrica dei film che davvero desidera la gente comune, e cioè Giovannona coscialunga, L'esorciccio e La polizia s'incazza (inesistente, citazione dei film cosiddetti "poliziotteschi", in voga all’epoca). Scena memorabile, tutta da analizzare...
E' il 1976 e Il secondo tragico Fantozzi supera forse il primo episodio dell'infinita serie creata dal genio di Paolo Villaggio, del quale Pier Paolo Pasolini espresse lo sconcertante e profetico giudizio per cui i libri del comico genovese avrebbero mutato definitivamente la lingua italiana della contemporaneità. La scena è da analizzare, perché mette in evidenza alcune contraddizioni luminose e feconde. Il proletariato, si diceva sopra, non è più tale - è piuttosto un cognitariato, sono i colletti bianchi che sgomitano per arrivare a timbrare in tempo il cartellino onde uscire, prendere la macchina uguale a quella del collega e sistemata nel mega-parcheggio aziendale, andare a casa e vedere la televisione. Il padrone, il capitalista è un esempio di puro intellettuale comunista dei tempi, che impone il dibattito su una tecnica decisiva quale il montaggio inaugurato da Sergej Ejzenštejn. E' esattamente il "compagno" a cui Nanni Moretti lancia il suo urlo disperato in Io sono un autarchico: "No! Il dibattito no!!!". Io sono un autarchico estende con uno sguardo anticipatorio sul futuro della cultura in Italia ciò che Fantozzi enuncia:
Ciò che accade al cineforum dell'azienda fantozziana è, in pratica, la messa sotto lente di una deriva sottoculturale, di cui saranno fierissimi e nostalgici Fabio Fazio e gli autori di Anima mia: l'imporsi di un cinema di serie Z, che però diventa fondamentale, importantissimo, in quanto formativo, in quanto anti-intellettuale. La corazzata Potemkin non è per niente una cagata pazzesca e riveste un ruolo fondamentale nella storia del cinema: ma alla neogente italiana che gli frega? I ruoli si rovesciano, il padronato illuminato è comunista e intellettualizzato, mentre i lavoratori diventano una massa informe che accoglie gioiosamente quella che sceglie essere la sua cultura, la cultura popolare, che è in realtà sottocultura. Che intervenga poi la polizia a riportare l'ordine, è soltanto un disguido estetico (non a caso il titolo è inventato...) che favorisce la risata sottoculturale, che Villaggio cerca e realizza. Siamo, in pratica, alla premessa di quell'inferno che sarà il Drive In, il programma che impone lo standard sottoculturale berlusconiano. Siamo ai Vanzina eletti neo-papà della vera commedia all'italiana. Siamo a Moccia che vince lo Strega o alla Mazzantini che vince il Nobel per la Letteratura. Siamo, cioè, nel cuore del mutamento genetico italiano.
E cosa fanno i figli di Fantozzi, sul finire degli anni Settanta? Volenti o nolenti credono di sviluppare una cultura popolare, di cui poi andranno fieramente nostalgici, creando anime loro attraverso anìme: vedono, cioè, i cartoni animati giapponesi. Primo fra tutti, Goldrake, il protagonista dell'anìme robottico Atlas Ufo Robot. Esplose la mania e l'Italia mutò il proprio immaginario in una maniera talmente radicale che perfino su Wikipedia si sottolinea il primato mondiale ottenuto dalla nostra nazione: "In effetti, la Goldrake-mania fece impazzire il Paese, che ben presto divenne il maggiore acquirente occidentale dei cartoni made in Japan proprio grazie al successo di Atlas Ufo Robot".
Cominciamo dalla sigla. La sigla è uno dei momenti rituali fondamentali
della visione di quest'arma a doppio taglio che furono i cartoni
animati giapponesi, capaci di veicolare alienazione, distruzione degli
schemi maturativi dell'emotivo, confusione cognitiva. L'altra sera sono
andato ad ammirare (questo è il verbo opportuno) la versione cinematografica di Ken il guerriero, l'anìme
che troppo tardi interruppe la veicolazione di alienazione che, da
Goldrake a Mazinga a Jeeg, fu imposta e creduta di essere scelta
liberamente quale immaginario. Distribuito dalla meritoria Mikado e dalla leggendaria Yamato Video, Ken il guerriero è un capolavoro anche in forma di film - il che non potrebbe essere per Goldrake. Ho recensito qui Ken il guerriero,
che invito chiunque ad andarsi a vedere per comprendere che cos'è
l'epica in epoca contemporanea. Però, per il momento, mi interessa
analizzare la sigla di Goldrake, anche perché mi sono
capitate due epifanie che la riguardano. La prima, e più disastrosa,
concerne un mio sciagurato soggiorno l'estate scorsa. Solo,
sfigatissimo come tutte le estati, preso dal panico prenotai due
settimane in un villaggio turistico, non sapendo cosa mi attendeva.
Fuggii dopo cinque giorni da quel luogo infernale, che costituiva la
conclusione logica del sillogismo iniziato dal Secondo tragico
Fantozzi, non prima però di avere osservato, allibito, una massa
indistinta e transregionale di miei coetanei e gente più attempata
nella discoteca all'aperto del villaggio turistico: ballavano
sfrenatamente, finzionalmente gioiosi, la sigla di Goldrake.
Seconda evenienza: accanto a casa mia c'è un locale fighetto, un
ristorante giapponese in stile minimalista-fusion che, dal momento che
stava perdendo clientela, ha installato schermi ultrapiatti ovunque
alle pareti e trasmette a ciclo continuo puntate di Atlas Ufo Robot.
La gente si ferma per strada, guarda incantata attraverso le vetrine
del giapponese (a cui auguro un velocissimo e devastante fallimento) e
commenta Goldrake. All'interno le coppie mangiano sushi e non parlano: guardano la puntata di Goldrake.
Al contrario di Ken il guerriero,
ininterrottamente trasmesso senza soluzione di continuità dal 1984 a
oggi, con un nomadismo di emittenti televisive che sarebbe già di per
sé epico, Goldrake viene saltuariamente ritrasmesso e fa schifo ai bambini di oggi, che lo considerano lento, inutile, banale, mentre Ken suscita il loro interesse, come se non fosse invecchiato di un giorno. La mnemotecnica di Goldrake
segnala un momento di imposizione dell'immaginario, che fa passare
messaggi subliminali e giustifica l'affermazione che una cagata
pazzesca ci è stata installata nei lobi come un microchip alieno
durante una abduction
di massa - gli alieni, in questo caso, erano i giapponesi ed eravamo
noi, presi dalla Goldrake-mania. Ecco questo benedetto momento rituale
della sigla. Godetevelo, poi passiamo all'analisi semantica del
testo...
Ecco le cagate pazzesche che la sigla (tra i cui autori incredibilmente figura la leggenda musicale Vince Tempera) enuncia:
Ufo Robot, Ufo Robot!
Ufo Robot, Ufo Robot!
Si trasforma in un razzo missile,
con circuiti di mille valvole,
tra le stelle sprinta e va,
mangia libri di cibernetica,
insalate di matematica,
e a giocar su Marte va,
Lui respira nell'aria cosmica,
è un miracolo di elettronica,
ma un cuore umano ha,
ma chi è?
ma chi è?
Ufo Robot, Ufo Robot!
Raggi laser che sembran fulmini,
è protetto da scudi termici,
sentinella lui ci fa,
quando schiaccia un pulsante magico
lui diventa un ipergalattico,
lotta per l'umanità,
Ufo Robot, Ufo Robot!
Ufo Robot, Ufo Robot!
Si trasforma in un razzo missile,
con circuiti di mille valvole,
tra le stelle sprinta e va,
lui respira nell'aria cosmica,
è un miracolo di elettronica,
ma un cuore umano ha,
ma chi è?
ma chi è?
Ufo Robot, Ufo Robot!"
Ora,
né Actarus né Goldrake si trasformano in un razzo-missile, oggetto
tecnologicamente ambiguo e tautologico, misteriosamente mai
rappresentato nel cartoon che i bambini settantini stanno per vedere
dopo la sigla. Actarus non mangia libri di cibernetica
e neanche "insalate di matematica" (la metafora più brutta e
allucinante della storia dell'umanità). Goldrake non va mai a giocare
su Marte.
Actarus non schiaccia alcun pulsante magico e non diventa un
ipergalattico, denominazione di provenienza incontrollata che sarebbe
la natura stessa di questa sentinella dell'umanità. Non esiste alcuna
aria cosmica da respirare e tra l'altro Actarus supera l'atmosfera
terrestre una sola volta, quando decide che, dopo avere affrontato
centotredicimila mostri inviati da Vega, è arrivato irrazionalmente il
momento di farla finita. Momento che i bambini italiani non vedranno
mai: "Furono infatti doppiate e trasmesse in TV solo 71 puntate su 74,
con esclusione degli episodi 15, 59 e 71, e ciò malgrado la RAI avesse
acquistato l'intera serie" (Wikipedia). La conduttrice di Buonasera con..., il contenitore tv della Rete 2 in cui Goldrake veniva trasmesso nel '78 (l'anno del Grande Flap), annunciò la ferale notizia con entusiasmo: non avremmo visto la puntata finale di Goldrake, non avremmo assistito al massacro dei cattivi.
L'entusiasmo
della Elmi lasciò insonne quella notte l'intera mia generazione. Si
annunciava un nuovo programma. La rivoluzione anìme poteva continuare
con qualcosa di ancor più clamoroso. Ero convinto che sarebbe stato il
cartoon di Tex Willer:
finalmente l'eroe cow boy in movimento! Non dormii, attesi le 19.00 con
ansia tutto il giorno, fui liquefatto dall'annuncio della Elmi: Goldrake veniva sostituito da un varietà condotto da Luciano Salce, non a caso regista del Secondo tragico Fantozzi.
Nel frattempo, io e la mia generazione ci eravamo ciucciati, al ritmo
allegro della sigla di questo eroe che è un ipergalattico col cuore
umano, alcune informazioni essenziali sull'utilizzo del mondo.
Anzitutto, l'ordine va mantenuto e ci penserà qualcuno che non ti
aspetti, a farlo per te. Con lui stabilirai un rapporto basato su non
si sa bene cosa: vi vorrete molto bene, ma non si sa perché. Non
sapendolo, spesso piangerete di colpo, come un "emo"
oggi, oppure riderete su una collina per una battuta priva di senso,
mentre tramonta al crepuscolo un sole che va definito poetico a priori.
I rapporti sessuali sono una spada di Damocle incombente e la
confusione sessuale agiterà le nostre vite. Il robot femminile spara
razzi-missili che sarebbero le tette, quindi adéguati. Il tuo fraterno
amico forse ama la pilotessa del robot con le tette che, alla faccia di
Melanie Klein,
ti bombardano ansiogenicamente di tritolo anziché darti il latte e
l'oggetto d'amore ideale. Quindi tu sei incazzato col tuo amico
fraterno, che però è sessualmente incerto e forse ama te e ti manda in
confusione sessuale a tua volta. La ragazza forse ti ama, ma tu sei uno
speciale, sei un ipergalattico, quindi con lei non sai angosciosamente
se starci o meno. Siccome devi difendere l'umanità grazie alla
tecnologia e alla scienza, non leggi un libro che sia uno. Ogni tua
emozione è giocata come momento di parentesi tra un rischio e l'altro,
e il rischio è l'invasione aliena del tuo habitat. Chi
ti salva, e ti permette di esprimere emozione in determinati recinti
temporali, è ciò che non prova emozione: una tecnologia sofisticata,
che mima la specie umana con la sua simmetria di arti, ipergalattica ma
che fideisticamente (credici!) ha un cuore umano. E il passato? E'
deforme, ridicolo [nell'immagine accanto, il vecchio Rigel, disegnato con una grafica totalmente diversa rispetto agli altri personaggi],
è legato a tradizioni allucinantemente incomprensibili, incapace di
concepire la diversità messianica e salvifica della tecnologia
ipergalattica col cuore umano. Alla lunga, però, anche l'anziano si
adegua a ridere con te e come te, smette di essere buffo e diventa
profondo secondo i canoni dell'umanità permessa dalla tecnologia che,
più che un cuore umano, si vede benissimo che tiene due corna grosse
come le Twin Towers. Tu, peraltro, vergògnati di essere come sei - se
sei un giapponese, ti autorappresenti con un esoftalmo paradossale. Non
ti si vede mai divertirti o provare piacere, perché di fatto non ti
diverti e non provi piacere. Se ti diverti, è col finto emotivo che
ridi - e quindi il nuovo verbo è adeguarsi alla separazione tra
desiderio e piacere. Poiché non sai cosa desideri e i piaceri che provi
sono una finzione, un semplice pascolare all'interno del pratino
delimitato da fili elettrici. Il tuo corpo sarà elettrico, cioè
fibrillante, un'intera trasognata protesi, perché la specie umana
compirà ineluttabilmente questo passo: pugni che si staccano, calore
corporeo che fuoriesce, intestini missilistici, spalle taglienti. Tu
sei contemporaneamente l'umano che è a rischio e il disumano che lo
difende provenendo da un'altra galassia. Il nemico non è mai umano, il
rischio è esogeno. Non è l'uomo a mettersi in pericolo, è sempre un
nemico esterno al cerchio umano a mettere a repentaglio la tua stessa
vita. Cresci dissociato, ma con l'impressione di un eroismo che
inorgoglisce e che ti dà il senso della vita: è vincere, è abbattere
l'altro, l'estremo altro ti minaccia e tu devi vincere, e vinci perché
sei più efficiente anche emotivamente, poiché reggi stress inenarrabili
o, in questo caso, proprio narrati. L'Edipo? Salta, si sospende: dove
sono papà e mamma? Sono lontani, morti, perennemente ricordati e
rimpianti. Sei maniacale perché non sei mai depresso, eppure sei
disforico perché non vivi l'esperienza, poiché l'unica esperienza che
puoi vivere è la ripetizione del medesimo rischio di essere annullato,
ma se ce la fai e vinci, tranquillo, non sarai annullato. Non esiste
iniziazione. La paura la si affronta con l'atteggiamento con cui ci si
rapporta a un oggetto esterno. La struttura degli accadimenti governa
il tuo rapporto col mondo ed è sempre la stessa: stai sereno, arriva la
tempesta, devi farti un mazzo così, sei premiato, ti fai una risata e
via alla prossima mangiata del tuo cibo preferito, "l'insalata di
matematica". La lingua che usi è tautologica. Se si guarda Jeeg Robot d'acciaio, la cosa è ancora più chiara. Ecco la sigla, la prima a finire in cover grazie a un'oscura band di adulti in piena regressione, Edipo e il suo complesso, che invadono VideoMusic, una tv dove dei toscani parlano un buccinante americano:
L'orripilante canzone si regge su un testo che linguifica come Drive In, celebra la reale neolingua che, a dispetto del giudizio di Pasolini, si imporrà come neoitaliano, influenzato ben più da Goldrake che da Fantozzi. Attiro l'attenzione su nozioni quali: l'assolutezza irrazionale di "tutta la gente dell'umanità", l'inespicabilità dell'assenza di causa per cui "Se dalla terra nascerà la forza che ci attaccherà, noi restiamo tutti con te perché tu... tu sei Jeeg!!!", l'incredibile vortice tautologico privo di significanza "Quando il domani verrà, il tuo domani sarà, coi tuoi poteri tu salvi il futuro [cioè il domani] dell'umanità [che però non ha domani, il domani è di Jeeg]". Il mantra è Mishima in putrefazione: "cuore e acciaio". L'acciaio salva, ma c'è un cuore umano.
Mentre la mamma terrorizzata cercava di cucinare un'anguilla che risultava ancora vivente, guardavo nel televisore arancione Brionvega in bianco e nero i primi episodi di Atlas Ufo Robot.
Di che colore era la tuta di Actarus? Poteva essere di qualunque
colore. Per me era verde. Poi, di colpo, la rivelazione dai compagni
che disponevano dell'avanguardia tecnologica di una tv a colori:
Actarus è rosso. Moncamento immediato dell'onnipossibilità che
l'immaginazione esercita. L'immagine è data, per sempre, non può essere
modificata. Non c'è ciclo narrativo, ma soltanto ripetizione delle
medesime strutture: è sul serio una "insalata di matematica", cioè la
sostituzione dell'immaginazione con un'algebrizzazione della stessa.
Poiché, però, si cresce con Goldrake e Jeeg, a distanza di anni si sente il piacere e la gratitudine verso quell'oggetto cupo che sembrava iridescente, un'esperienza di assoluto letame mentale che viene venduta a peso d'oro. Si piangono calde lacrime, tornando sul luogo del delitto. Quale delitto? Chi era il morto? Da ragionare sulla vittima di quell'efferato attentato.
Cambia tutto con Ken il guerriero, ed è per questo che vi invito ad andare al cinema a vederlo. Ken il guerriero è un ciclo epico
in cui né io né altri miei amici abbiamo mai compreso davvero cosa
succedesse, chi fosse nemico di chi, quando cavolo sarebbe finita la
storia di storie che si dipanava sotto i nostri occhi non ancora
disillusi. In Ken, il disastro è già avvenuto e la condizione
comune è quella di una schiavitù generalizzata, sotto il tacco di un
padrone arrogante e assoluto. Il nemico non è estraneo all'umanità, si
attende, come sempre, qualcuno che salvi, ma lo si attende provenire
dall'umanità stessa. Le stelle sono efficaci, irradiano e determinano
destini: le stelle polari influenzano le due scuole di arti marziali
che si affrontano e da cui emergerà il salvatore, che poi morirà. I
corpi sono deformati all'inverosimile, la violenza è assoluta, tutto è
terribile, ma l'amore è amore, la paura è paura e, soprattutto, il
mistero è mistero. La trama appare intricatissima, un labirinto di
digressioni, un teatro pressoché infinito di personaggi fondamentali, e
la memoria cede, non riesce a catalogare, non è il ricordo ad
algebrizzare il racconto, della coerenza non gliene frega niente a
nessuno, perché Ken il guerriero è la storia ripetuta di un'oppressione
in tempo di catastrofe. La tecnologia è da Mad Max: rozza, desunta da
una precedente tecnologia più raffinata, è un reperto attivo
sopravvissuto. Ovunque, rovine: meditazione grave sulle rovine. La
sigla iniziale è una canzone di liberazione, depressiva. Non è in
neolingua. Non c'è alienazione, c'è soltanto la solita affabulazione,
questa costante metastorica che fa, dell'umanità, un fenomeno umano.
Poiché qui è tutta umanità: l'umanità è giunta quasi a estinguersi per
colpe proprie, moltissimi umani sono mostruosi e l'invocazione a essere
salvati dall'oppressione è un grido da canto socialista: "Chi mai
spezzerà le nostre catene?"...
Da Ken il guerriero si crea una catena transmediale: fumetto
di carta, serie tv, film - ognuno autosufficiente. La sua estetica è la
sua stessa etica - è metafisica allo stato puro, è continua rinuncia
all'"io", è la storia fatta dall'intera specie, è livelli di percezione
sottile di forze corporee che la fisiologia contemporanea occidentale
non coglie e quindi nega. La potenza epica è l'estetica e l'etica di Ken il guerriero.
A distanza di anni, persiste - come qualunque epica. Non c'è
possibilità di ironia, come c'è sulle tette missilistiche lanciate da
Venusia. Si può ridere degli eccessi, ma il riso, a un certo punto, si
spegne sulle labbra, perché l'epica è da immaginarsi, è più bello immaginare che ridere ironicamente. Non c'è difesa. Nel film Ken il guerriero, tutto ciò si trasforma e rimane intatto allo stesso tempo:
Il primo episodio televisivo di Ken va in onda nell'84. La terapia ai danni provocati dalla mania disforica di Goldrake era sotto gli occhi di tutti. Non fu allora il momento di comprendere che era l'epica, l'immaginazione che si infilava nei buchi dell'incomprensione, a terapeutizzare. Il momento è ora. Qui va bandita la nostalgia e il distacco ironico. La vicenda di Ken è infinita, quella di Goldrake no - è semmai sospesa, il che è emblematizzato dalla sincronicità per cui l'ultima puntata non andò mai in onda. Su questo pop bisogna esercitare ora e qui consapevolezza. Ripulirsi dalle scorie di una pubertà sotto assedio mediatico, che mirava all'addomesticamento dell'immaginario e che culminava nelle finte risate di Drive In, nei suoi sketch per nulla comici, nella malizia berlusconiana dell'autentico Mago di Oz berlusconiano, che fu e continua a essere Antonio Ricci, le cui comunanze culturali con Armando Verdiglione (che Ricci prese per i fondelli proprio a Drive In) andremo prossimamente a indagare.
a Fenfen